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Tassa sui rifiuti, un meccanismo che privilegia i forti e penalizza i deboli.


Oggi vi voglio raccontare l'ultima vicenda in ordine di tempo che ha travolto la nostra piccola struttura e che riguarda l’imposta sull’immondizia.


Nonostante ci impegniamo da sempre per favorire il riciclaggio dei rifiuti attraverso il maggior uso possibile di materiale compostabile e riciclabile e arrivando a fornire a tutti gli ospiti anche i sacchetti per la raccolta differenziata, le amministrazioni non solo non ci premiano ma adottano un meccanismo di imposizione della tassa sull’immondizia (TARI) tutt’altro che equo.


Bisogna sapere due cose prima di proseguire.

La prima è che la legge (n.27 del 27/12/2013) sebbene abbia come fine quello di far pagare l’imposta in proporzione ai rifiuti prodotti (infatti si tratta di una tassa, che a differenza di una imposta, serve a finanziare un determinato servizio pubblico) di fatto presuppone che sia il semplice possesso di locali ed aree scoperte a dar origine all’applicazione dell’imposta.

La seconda è che i comuni, coloro cioè che gestiscono la tassa all’interno dei limiti segnati dalla legge 27, hanno l’obbligo di richiedere ai propri cittadini solo quanto speso per la gestione dei rifiuti. Quindi l’imposizione della TARI di fatto dovrebbe avvalersi di un meccanismo atto a distribuire equamente, in base ai rifiuti prodotti, il costo sostenuto.

Ma può il semplice possesso di locali e aree scoperte garantire un equa distribuzione dei costi dello smaltimento? A mio avviso proprio no o almeno non di sicuro per certi tipi di attività dove questo metodo impositivo, di potenziale capacità produttiva di rifiuti in base ai meri metri quadrati, determina delle storpiature rispetto alla realtà non giustificabili in alcun modo.



E’ chiaro che finché non sarà tecnicamente possibile determinare i rifiuti puntuali di ogni contribuente (in realtà se ci fosse la volontà gli strumenti sono già sul mercato per realizzarla) si deve scendere a compromessi e accettare delle approssimazioni. Attenzione non devono però mai oltrepassare dei limiti che possono ledere i diritti dei cittadini.


Parlando del nostro settore, quello ricettivo che comprende anche e soprattutto gli alberghi, avviene che campeggi minori, in zone di collina meno turistiche, per competere con le altre strutture vicine al mare o comunque in zone più avvantaggiate siano costretti ad offrire oltre a prezzi inferiori anche spazi più ampi per tutte le tipologie di aree e tutte le tipologie di servizi. Va da sé però che avere spazi più ampi a pari numero di persone ospitate non significhi per forza di cose produrre maggiori rifiuti. Si offre solo un prodotto diverso che non incide in alcun modo sulla quantità di immondizia generata. Ci si ritrova dunque nella situazione che oltre a patire una posizione geografica di svantaggio si è penalizzati anche da una imposizione non coerente e iniqua di questa tassa. In parte anche la superficie totale incide sulla capacità di produrre immondizia ma è ovvio che sono le persone a creare rifiuti e quindi il vero parametro da considerare sono le presenze che una struttura ricettiva registra a dare una stima, il più vicino possibile alla realtà, dei rifiuti prodotti.

Anche la stagionalità di una struttura ricettiva sarebbe considerata a dovere prendendo le presenze come parametro base. Allo stato attuale i regolamenti applicano uno sconto per le strutture stagionali rispetto a quelle annuali ma anche questa regola è fortemente penalizzante. Ci sono strutture che, per vari motivi, sono più gettonate e registrano molte presenze in tutti i mesi di apertura e altre invece che riescono a lavorare in pieno solo in brevi periodi. A pari superficie è ovvio che non produrranno la stessa immondizia.

Ecco allora che strutture che registrano la metà se non un terzo delle presenze rispetto a strutture sulla mappa nettamente più piccole si ritrovano a pagare una tassa nettamente più salata. Le disparità che si creano possono assumere proporzioni tali che per i campeggi penalizzati dal meccanismo diventa difficile essere competitivi sul mercato, con un costo per presenza fino a tre volte superiore.

E il quadro è ancora più sconfortante perché il problema ristagna da tempo senza speranza di soluzione. Il meccanismo, infatti, è tutto a vantaggio delle strutture più grandi, di quelle economicamente più forti, delle uniche che avrebbero voce in capitolo presso le amministrazioni per cambiare le cose. A queste strutture non conviene sollevare la questione in quanto una equa ridistribuzione farebbe solo aumentare i loro costi. Ma mentre la logica delle grandi strutture è comprensibile non lo è invece il comportamento delle amministrazioni. Da una ridistribuzione più equa dei costi gli enti non dovrebbero rimetterci nulla proprio per legge. E allora perché nessuno affronta seriamente il problema?


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